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teatro



TEATRO

Sede fisica e, per estensione, insieme delle rappresentazioni drammatiche. Ebbe indiscussa origine rituale.

L'ANTICHITÁ. Nell'antichità le rappresentazioni si sostanziavano del rapporto col divino, fossero esse cerimonie votive o drammatizzazioni di leggende religiose, così nell'antico Egitto come in Asia, come in gran parte del teatro greco e romano, da cui nacque il moderno teatro occidentale. Le annuali feste in onore di Dioniso, per esempio, comprendevano gare di tragedia e di commedia, evoluzione di precedenti esibizioni di canto corale (o ditirambi). Maschere adornavano il volto degli attori, tutti uomini, anche nelle successive opere dei greci Eschilo e Sofocle (VI-V secolo a.C.). Agli originali spiazzi rotondi e privi di qualsiasi arredamento (orchestra) si sostituirono verso la metà del V secolo a.C. le prime skenè (scene), poste sul limitare del luogo dell'azione, e quindi le prime macchine teatrali, utilizzate da Euripide e messe in ridicolo da Aristofane (V-IV secolo a.C.). Le trasformazioni più importanti in età ellenistica riguardarono la costruzione di un palcoscenico sopraelevato (loghèion) e soprattutto la professionalizzazione delle arti teatrali. Le commedie di Tito Maccio Plauto (250 ca-184 a.C.) e Publio Terenzio Afro (185-159 a.C.), tipiche della Roma repubblicana e ricche di contaminazioni con forme precedenti di rappresentazioni italiche, furono per lo più rappresentate in radure semicircolari, prospicienti un palcoscenico rialzato; ma in realtà Roma non ebbe un teatro stabile sino alla metà del I secolo a.C. A differenza dei teatri greci, che sfruttavano i declivi dei colli circostanti città e luoghi sacri, Roma costruì i suoi teatri assieme agli altri palazzi pubblici nel centro delle maggiori città, raggiungendo in alcuni casi le ragguardevoli dimensioni di 40.000 posti a sedere coperti. Il teatro era dunque uscito dalla sacralità delle origini per attingere il ruolo di occasione di incontro e di svago culturale per tutta la società. Lo stato cominciò perciò a interessarsene direttamente. Segno del nuovo uso pubblico del teatro e del cambiato rapporto con lo stato e con la religione fu che, al contrario di quanto avveniva in passato, ai cives romani era ora permesso dedicarsi all'arte teatrale anche come attori, accumulando fama e onori. Il teatro dell'età imperiale visse di forti contrasti con lo zelo moralistico dei nuovi cristiani, attirandosi le ire della chiesa nascente per il carattere licenzioso degli allestimenti e del pubblico. In pratica attorno al VII secolo d.C. il teatro era fuorilegge sia in occidente che in oriente.

IL MEDIOEVO E IL RINASCIMENTO. Eppure proprio dalla chiesa il teatro rinacque nell'alto Medioevo, grazie alle sacre rappresentazioni. Traendo materia dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, monaci e preti, con l'aiuto delle piccole comunità locali, allestivano, soprattutto in occasione delle feste pasquali della resurrezione di Cristo, rappresentazioni sacre in cicli che talvolta prevedevano dai venti ai quaranta giorni di spettacolo. In tal modo non solo riebbero vita teatri abbandonati, ma compagnie di dilettanti presero a recitare in platee improvvisate nelle strade: trucchi anche pesanti rendevano ancor più impressionanti queste rappresentazioni. Col XV secolo il progressivo rigoglio delle corti rinascimentali tolse progressivamente spazio al cupo teatro religioso, che lasciò il primato a un teatro laico e gioioso fatto di saltimbanchi, di mimi, di improvvisatori, di musicisti, di acrobati, spesso sotto la protezione stessa dei signori più in vista: un po' in tutta Europa, ma in Inghilterra in modo particolare, verso la fine del XVI secolo vennero invece emancipandosi le prime compagnie semiprofessionali che dettero vita al teatro elisabettiano. Esso ebbe suoi luoghi di rappresentazione, spesso circolari e poligonali, con gli spettatori nei palchi che si allineavano nei diversi ordini di gallerie, mentre gli attori recitavano su un palco eretto in platea; sul retro si trovavano i camerini e gli uffici del teatro. I costumi, pur senza tener fede all'epoca storica in oggetto, si facevano sempre più sontuosi. Ma ancora era permesso salire in palcoscenico solo agli uomini, che recitavano quindi anche le parti femminili. Si vivevano allora le rivoluzionarie esperienze di William Shakespeare (1564-1616) e Christopher Marlowe (1564-1593) e il rapporto con la società rimaneva mediato dai nobili mecenati, protettori di queste compagnie. Nasceva nello stesso periodo la moderna figura dell'imprenditore teatrale, proprietario di teatri, non necessariamente attore o drammaturgo ma solo finanziatore dell'impresa. Le corti regali rimanevano il luogo preferito in cui esibirsi nella stagione che di solito cominciava dopo la Pasqua e terminava in autunno. In inverno gli attori arrotondavano recitando in piccoli teatri privati, in attesa di tornare ai fasti delle corti. In Spagna invece i teatri, il più delle volte all'aperto, erano di proprietà delle potenti confraternite religiose o delle ricche municipalità: tutti i ruoli erano interpretati da uomini, almeno fino al 1587, sotto contratto di particolari autores de comedias, veri e propri antesignani dei moderni impresari. Testi, religiosi e non, vennero composti a centinaia da Lope de Vega (1562-1635) e da Pedro Calderón de la Barca (1600-1681), i due maggiori autori del siglo de oro del teatro spagnolo. Ma la vera e propria rottura col teatro medievale maturò grazie ad alcuni umanisti italiani che, sul modello classico di Vitruvio, per esempio promossero l'edificazione del teatro Olimpico di Vicenza nel 1585, affidata ad Andrea Palladio. Si perfezionarono il proscenio, il sipario, per permettere il cambio di scena fra un atto e l'altro, e l'illuminotecnica per teatri sempre più coperti, mentre la pratica dell'attore si era già professionalizzata con la commedia dell'arte italiana, in cui primeggiavano i caratteri fissi, da Arlecchino a Pantalone, da Brighella a Pulcinella, con costumi propri e maschere, mentre i personaggi femminili, così come i giovani amorosi, ne erano dispensati.

IL TEATRO MODERNO. Con la commedia dell'arte le donne furono difatti accettate in palcoscenico: famose attrici come Isabella Andreini (1562-1604) contribuirono a diffondere con lunghe tournée in tutta Europa il primato del teatro italiano, influenzando non solo le mode teatrali e il moderno teatro europeo, ma i costumi degli altri paesi. A Parigi recitavano in un teatro chiamato La Comédie italienne. In breve conquistarono ruoli di primo piano le "prime donne" anche in Francia, nel momento fortunato di Jean Racine (1639-1699), Molière (1622-1673) e della Comédie française, e in Inghilterra, dove a lungo erano stati usati giovanetti imberbi per ruoli femminili, almeno fino al regno di Carlo II Stuart (1660). Le stesse forme strutturali del "teatro all'italiana" si diffusero ovunque e giunsero dall'inizio del XVII secolo fino al Novecento con pochissime varianti. I compiti della moderna regia venivano allora per lo più assolti o dal capocomico o dagli stessi autori, ch non di rado si preoccupavano anche dell'addestramento professionale dei giovani.

LA RIFORMA DEL TEATRO. Ma solo un secolo dopo si tornò a parlare di riforma del teatro, grazie all'azione dell'inglese David Garrick (1717-1779), forse il più grande attore del secolo, che diresse il teatro Drury Lane dal 1747 al 1776, e del francese Charles Simon Favart (1710-1792), direttore dell'Opéra comique: in particolare l'accuratezza storica dei costumi sembrava non più dilazionabile. Negli Stati uniti, ma soprattutto in Germania, assieme all'emergere dei prodromi del futuro assetto nazionale e della crescita della borghesia, anche il teatro venne progressivamente emancipandosi da influenze straniere. In questa direzione andavano, per esempio, l'attività di Wolfgang Goethe (1749-1832) al teatro di corte di Weimar, la presenza stimolante del drammaturgo Gotthold Ephraim Lessing (1728-1781) e di attori come Frederick Schröder (1744-1816) direttore del Teatro nazionale ad Amburgo dal 1786 al 1790, che avrebbero aperto la strada alla produzione degli autori dello Sturm und Drang e più in generale del romanticismo letterario tedesco. La costruzione degli ultimi teatri da parte di aristocratici e di accademie specifiche e la crescita del balletto e del moderno melodramma precedettero di poco i grandi mutamenti introdotti dalla Rivoluzione francese con la nascita del teatro contemporaneo. Mutamenti che riguardarono innanzitutto la costituzione del pubblico moderno, aprendo i teatri come le città a tutte le classi sociali, ma soprattutto instaurando rapporti diretti con lo stato, in tutta la sua articolazione amministrativa. Esistevano già pratiche di finanziamento e quindi la possibilità di un controllo dello stato sull'attività teatrale, ma solo con la nascita dello stato moderno queste pratiche si istituzionalizzarono.

IL TEATRO CONTEMPORANEO. Ma restarono le divisioni fra teatro "alto" e teatro "basso" in una discutibile analisi dei testi da parte dei critici. Dall'evoluzione delle vecchie forme del mimo e della pantomima di epoca romana si svilupparono il music hall, il vaudeville e in genere il teatro leggero o di varietà. A Parigi si aprì la stagione del teatro boulevardière, con alcuni grandi attori come il celebre François-Joseph Talma (1763-1826). Nonostante questo variare delle condizioni di base, per tutto il XIX secolo le uniche novità delle pratiche teatrali riguardarono l'introduzione dell'illuminazione a gas al posto della precedente a candela o a olio; solo nel 1881 al Savoy Theatre di Londra l'elettricità entrava a teatro, ma si doveva aspettare il primo ventennio del Novecento perché i vecchi impianti venissero sostituiti. Così dicasi per l'uso di apparati idraulici che permettevano di sostituire in poco tempo intere scene. La maggior novità in palcoscenico era difatti costituita, dopo anni di tela dipinta e di fantasiose ricostruzioni, dall'introduzione di un rigoroso naturalismo. Niente poteva esser più lasciato all'improvvisazione: i nuovi grandi soggetti politici come i partiti di massa e i sindacati operai scendevano nell'agone proclamando il diritto a una cultura alternativa a quella del mondo borghese. L'integrazione negativa del movimento operaio nel processo di nazionalizzazione delle masse in atto in Europa dette impulso da un lato alla formulazione epica del dramma sociale (Emile Zola, 1840-1902; Gerhart Hauptmann, 1862-1946; Hermann Sudermann, 1857-1928; per alcuni aspetti Henrik Ibsen, 1828-1906), che trovò i suoi interpreti nei più celebrati fautori del naturalismo scenico, come André Antoine (1858-1943), e dall'altra al teatro operaio spontaneo, presente soprattutto nei momenti più alti dello scontro di classe. Alberi, cavalli, giardini, appartamenti ammobiliati con cura, in pieno rispetto della realtà storica, vennero allestiti sui palcoscenici più importanti, provocando la collaborazione per arredamenti e co-stumi di professionisti come architetti, costumisti, scenografi, musicisti, tecnici e macchinisti, laddove tutto sino a quel momento era stato lasciato all'improvvisazione e alla poesia del capocomico. Costi quindi sempre maggiori, che vennero lentamente selezionando verso l'alto le compagnie e la professionalità e attirando capitali dall'esterno. Alle soglie del XX secolo si poneva dunque come indilazionabile sul piano artistico la ricomposizione dell'unità della direzione scenica: fra i primi a proporre concrete e artistiche soluzioni che contemperassero luce, suono e movimento, l'inglese Edward Gordon Craig (1872-1966), autore con Konstantin S. Stanislavskij (1863-1939) di un'indimenticabile edizione dell'Amleto al Teatro d'arte di Mosca (1911-1912). Mentre si venivano riscoprendo a livello di consumo popolare classici a lungo dimenticati (Shakespeare, Molière, Goldoni, ma anche il teatro greco e romano), il teatro commerciale si presentava in quegli anni con la pochade, dominata dal classico triangolo amoroso e dal finale coup de théâtre: un teatro definito anche "digestivo" perché poco impegnativo e di puro svago. Contro questa dittatura, che si prolungava sul piano economico su categorie ormai organizzate professionalmente a difesa dei propri diritti, come l'italiana Società degli autori e degli editori, o quelle dei capocomici e dei proprietari di teatri (veri e propri trust in perenne lotta per il controllo delle piazze più appetibili) venne lentamente affermandosi il teatro d'autore, di cui Luigi Pirandello (1867-1936) fu tra i più alti esponenti. In Italia in particolare queste forme trovarono immediata accoglienza ai vertici del nascente regime fascista: lo stato italiano sino ad allora aveva sovvenzionato esclusivamente il grande teatro d'opera risorgimentale di Giuseppe Verdi (1813-1901), di Giacomo Puccini (1858-1924) e di Pietro Mascagni (1863-1945), la grande letteratura nazionalpopolare, per dirla con Gramsci, ma mai il teatro di prosa. Il regime intervenne invece direttamente prima attribuendo premi speciali a compagnie ben viste, poi finanziando le ricorrenti tournée all'estero dei principali interpreti, da Marta Abba (1900-1988) a Ettore Petrolini (1886-1936), quindi aprendo con i "Carri di Tespi" dell'Opera nazionale dopolavoro una breve stagione di teatro itinerante, lirico e di prosa, per acculturare tutte le regioni d'Italia. Operazione calata in ritardo in un paese ormai dominato dal cinematografo a livello di consumo popolare. Colpito dai fulmini di troppo zelanti puristi, il teatro dialettale, sopravvissuto nelle realizzazioni di grandi interpreti come il siciliano Angelo Musco (1872-1937), i napoletani De Filippo (Eduardo, 1900-1984, e Peppino, 1903-1980), si spegneva il teatro di varietà ridotto ad avanspettacolo. Nell'Europa travagliata dall'imminente scontro tra fascismo e democrazia vissero esperienze importanti e nobili come il teatro di agit-prop, a metà tra la controinformazione e la ricerca sperimentale di nuove forme espressive; negli Stati uniti del New Deal si affermò invece il teatro di denuncia e di protesta bandito dal Federal Theatre Project. Dopo la seconda guerra mondiale, nonostante esperienze come quella dei teatri stabili (in Italia il Piccolo di Milano di Giorgio Strehler e di Paolo Grassi, nella Repubblica democratica tedesca il Berliner Ensemble di Bertolt Brecht, in Francia il sogno romantico del Tnp, Théâtre national populaire, di Jean Vilar) che tentarono di rinnovare pratiche e pubblico, sopravvissero fra grandi difficoltà le maggiori istituzioni come La Comédie française o lo shakespeariano Old Vic. Più ancora del cinematografo fu il diffondersi della televisione a far segnare il passo al teatro, sottraendo alle luci della ribalta scrittori, registi e attori, attratti dai più facili guadagni del piccolo schermo. Dopo il rifiorire di pratiche teatrali d'avanguardia all'epoca della contestazione giovanile, e nonostante l'opera di in novatori come Peter Brook, Tadeusz Kantor, Eugenio Barba, Jerzy Grotowski, molte sale storiche vennero chiuse. Il teatro, organismo in perenne crisi, continuò a vivere nell'impegno dei suoi sostenitori e di alcuni gruppi di praticanti, mentre l'intervento dirigistico dello stato venne sempre più attenuandosi.

G. Isola